In Italia ci sono 40 siti di interesse nazionale per le bonifiche (Sin). Nella missione della Commissione Ecomafie in Veneto conclusa l’11 luglio, molta attenzione è stata dedicata alla situazione del Sin di Porto Marghera, attraverso un sopralluogo al sito e diverse audizioni sull’argomento. Pensate, è il capostipite di tutti i siti di interesse nazionale, eppure le attività di ripristino ambientale a oltre 20 anni dalla sua istituzione (nel 1998) procedono a rilento.
Nel suolo e nella falda dell’area, che oggi si estende su 1.618 ettari, sono presenti molti inquinanti diversi. Questo perché, come hanno spiegato alla Commissione gli esperti di Ispra, il sito industriale di Porto Marghera si sviluppa su terreni sottratti al mare negli anni Cinquanta e Sessanta del 1900, utilizzando come materiale di riempimento gli scarti di produzione delle industrie allora presenti sulla terra ferma. Nei suoli si trovano arsenico, cromo, mercurio, nichel e idrocarburi policiclici aromatici. Nelle acque di falda sono presenti gli stessi contaminanti e compaiono i composti organici volatili.
Abbiamo trovato una situazione molto complessa: nel Sin, ad oggi il procedimento di bonifica risulta concluso per il 16% dei suoli e l’11% delle falde. Durante la loro audizione, i rappresentanti di Arpa Veneto hanno segnalato che in molte aree dove si era prevista inizialmente una bonifica, i soggetti responsabili si sono limitati solo alla messa in sicurezza.
Non sono gli unici problemi: le opere di marginamento sono quasi concluse, ma un piccolo tratto è ancora scoperto. Questo fa sì che paradossalmente, nonostante i milioni spesi, la contaminazione prosegua.
C’è poi il capitolo dei sedimenti che derivano dal dragaggio dei fondali della laguna: si tratta di sabbie contenenti in certi casi sostanze inquinanti, e che necessitano dunque di una gestione attenta. La caratterizzazione di questi fanghi prima del dragaggio è svolta da soggetti privati, senza una validazione pubblica. Non solo: la mancanza di un Piano fanghi e del Piano morfologico causa una situazione di stallo delle attività di dragaggio, mentre gli attuali siti di destinazione dei sedimenti sono in esaurimento.